giovedì 5 settembre 2013

Un'intervista a Giuliano Forresu, autore del romanzo A/R Quasi libero

Da dove nasce l'idea di A/R-Quasi libero?
L'idea nacque circa sette anni fa. Raccontare di una coppia di giovani, che potevano essere miei coetanei, allora, mi piaceva. Credo che parlare di ciò cui si appartiene possa essere interessante sia per chi scrive, che si deve necessariamente estraniare dal suo mondo per poterlo osservare dall'esterno e, quindi, descriverlo con la massima oggettività umanamente possibile, sia per chi legge, che si scontra contro un punto di vista che deve, comunque emergere dalla scrittura.
Fu come una necessità che doveva essere soddisfatta e, con un poco di attenzione, è nata l'idea di questa storia.

"A/R" è un chiaro riferimento al viaggio, ad un biglietto di andata e ritorno. Qual è il tuo
legame con i viaggi?
Il viaggio è l'essenza della vita; io stesso qualche anno fa ho abbandonato tutto ciò che avevo per partire senza avere una meta ben precisa: un posto di lavoro fisso, rispettabile, una casa, una macchina, tutte cose materiali che stavano rendendo la mia vita un po' troppo piatta. È stata la serie di viaggi che ho fatto in giro per l'Europa e oltre oceano, ad avermi regalato le esperienze più forti della mia esistenza e, proprio le emozioni provate durante i vari viaggi, mi hanno reso quello che sono. Ho sperimentato climi, persone e culture molto diversi da ciò che ero abituato a vivere: tutte cose che mi hanno aiutato ad imparare e ad assaporare nuovi stili di vita da cui sento di essere stato, nel tempo, plasmato.
Per rispondere alla tua domanda, quindi, il viaggio per me è tutto ciò che comprende le mie emozioni, le mie sensazioni, i miei ricordi, i miei affetti. È come se fosse la mia vita stessa, insomma.

Il tuo si presenta come un romanzo estremamente breve: è stata più una scelta o una necessità, quello di scrivere una storia in così breve spazio?
Inizialmente era una storia ben più lunga, una serie di descrizioni particolareggiate della terra, delle persone, delle emozioni vissute dai vari personaggi incontrati, non solo del protagonista. Venivano analizzate le esperienze una per una, in un modo molto dettagliato e, ahimè, noioso. Era un romanzo stile Francia dell'Ottocento, per intenderci. Non a caso, nel periodo in cui lo scrissi leggevo accanitamente Balzac e non potei fare a meno di venire influenzato dalla sua scrittura. Mi fecero però notare che si trattava di uno stile un po' troppo desueto per i nostri tempi, cosa più che ovvia, direi. Dovetti quindi riprendere in mano tutto il lavoro fatto e sintetizzarlo, spremerlo e distillarlo fino a renderlo brevissimo quale è. Facendo, però, di necessità virtù, credo anche che sia stata una fortuna aver compiuto questa serie di tagli alla stesura iniziale. Prima di lavorare su questi tagli mi accorsi infatti che la gente non legge più abbastanza e così bisogna cercare di venire incontro un po' a tutti. Offrire, come si dice spesso, degli incentivi. Creare un libercolo di poche pagine, ispirandomi sempre alla letteratura francese, ma stavolta al ben più popolare Roman de poche, avrebbe significato avvicinare più gente alla sua lettura. Allo stesso tempo, avrei dovuto limare lo stile, per quanto ne sarei stato capace, per renderlo più fluido, scorrevole, veloce, immediato.
In fin dei conti, sono contento del risultato ottenuto.

Credi che la gente possa nuovamente dedicarsi alla lettura, con gli incentivi di cui parli?
È più una speranza che una previsione, però sì, voglio crederci. Voglio pensare che, se gli autori si impegneranno tutti insieme con questo obiettivo, anche i cosiddetti non-lettori potranno usufruire di certi lavori. La letteratura si è sempre adattata ai periodi in cui veniva creata; non vedo per quale motivo non dovrebbe adattarsi quella dei nostri tempi. Non voglio dire con questo che bisogna per forza parlare di temi odierni, superficiali e capitalistici come gran parte della cultura occidentale attuale, ma lo stile dovrebbe avvicinarsi al popolo il più possibile, e i metodi sono infiniti. Penso che uno di questi sia proprio lavorare su storie rapide e fluenti.

Qual è il nemico della letteratura di questi tempi, secondo te?
La televisione. La odio e la detesto, per quanto utile ed importante possa essere. Secondo me la televisione è il motivo principale per cui è stata abbandonata la letteratura. Ma è comprensibilissimo: essa offre voci, immagini, colori, sguardi e gesti così palesi ed immediati che coloro che la guardano ricevono passivamente le informazioni che essa vuole dare. Il libro non è così. Per leggere bisogna effettuare degli sforzi, delle fatiche mentali. Un personaggio, un paesaggio, un'emozione, per quanto possano venire descritti minuziosamente, non arrivano al lettore se lui non li immagina, non ci si immerge, non compie lo sforzo attivo di andare incontro al libro stesso. Leggere è faticoso, ma le emozioni che si provano quando si chiude un libro non sono mai come quelle che si hanno quando si spegne la TV.

A/R-Quasi libero è stato pubblicato inizialmente in formato elettronico: quanto credi negli ebook?
Si tratta di un fenomeno nuovo ed importante sotto diversi aspetti: innanzitutto sposare la letteratura all'epoca della digitalizzazione che stiamo vivendo, non può essere che un'idea brillante e fondamentale, per stare al passo coi tempi. Poi c'è da dire che, sempre parlando dei tempi odierni, anche il fattore ambientale ed ecologico, cui io tengo molto, va decisamente a favore di questo nuovo tipo di lettura. Aggiungiamoci i prezzi ridotti delle opere in digitale, cosa che viste le contingenze non si può trascurare, e il gioco è fatto. Le potenzialità sono straordinarie, ora bisogna vedere la reazione del pubblico, che pare essere in netto aumento.

Rivedremo altre opere di Giuliano Forresu, in futuro, o potrebbe essere difficile?
Spero di sì, ci sto già lavorando. Ho in mente un intero progetto letterario che spero di riuscire a portare a termine. Debbo dire che è difficilissimo scrivere nelle condizioni di vita di oggi: gli impegni lavorativi, nel periodo contingente, si ammucchiano e si accatastano in maniera del tutto confusionale tanto da impedire, spesso, la libertà e la chiarezza mentale per potersi dedicare alla scrittura, nel mio caso, o all'arte in genere. Carmina non donant panem, diceva sempre un mio carissimo professore universitario, e aveva ragione. Proprio per questo, per vivere, c'è bisogno di un lavoro che manca, di una serenità, una lentezza, una pace che si può trovare solo all'interno di se stessi, compiendo peraltro enormi sforzi.

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