lunedì 17 febbraio 2014

Il certo e l'incerto - recensione

La mia riflessione su Il certo e l'incerto, di Clara Spada

Se l’uomo pensa al sesso mediamente 18 volte al giorno, Stefano, protagonista de Il certo e l’incerto, non riesce a pensare ad altro, soprafatto com’è da un’avventura che diventa causa di un turbato godimento estatico-estetico.
Sotto la pulsione basilare della libido ripercorre la propria esistenza; attraverso le associazioni mentali affiorano i contenuti dell'inconscio o, come lo chiama l’autrice, di quel “mondo di sotto” che è alimentato dall’interiorizzazione delle figure genitoriali durante l’infanzia e la prima adolescenza. In un’altalena di sentimenti che variano a seconda della lucidità razionale del Super-io e la chimica ancestrale dell’Es, l’Io subisce una momentanea scissione, che spacca in due l’essere dell’individuo.
Ondeggiando tra il certo e l’incerto, il protagonista si sente più irreale che reale e, all’inizio del racconto, più morto che vivo, tanto da rimettere continuamente in questione la propria identità e autonomia. L’Io viene visualizzato come sedimentazione degli oggetti interiorizzati e quella provata è, in altri termini, una dissociazione schizofrenica: una frattura che divide l’Io dal corpo, una scissione a livello molecolare.
Con una penna tagliente come un bisturi, come un holter che monitora il funzionamento elettrico del cuore nell’arco delle 24 ore, nel suo ultimo romanzo Clara Spada ci offre la possibilità di entrare nella testa di un uomo per un giorno e di osservarne impietosamente dall’interno la mutevolezza di stati d’animo che ripercorrono un’intera esistenza attraverso il filtro dei ricordi.
Inutile dire che per analogia strutturale il pensiero va ad uno dei miei romanzi prediletti: il capolavoro di Isherwood, A single man.
Carla Deplano

(Anche autrice de "Il vuoto", edizioni Logus mondi interattivi)