lunedì 8 luglio 2013

Il vuoto: recensione di Filippo Pace

Il romanzo epistolare ha avuto nel Settecento e nell'Ottocento exempla seminali, ampiamente canonizzati dalla storiografica critica e archetipici per la sostanziazione novecentesca che, a tratti consentanea alla narrativa diaristica, specchio dell'Io che si proietta e rifrange in quello che tabucchianamente potrebbe definirsi "sguardo ritornato", nella sua fenomenologia celebrante lo scacco gnoseologico giunge fino ai manierismi del postmoderno per rinnovarsi, parallelamente all'avanzamento della tecnologia, nei primi anni del nuovo millennio. Chiaro, dunque, che alle lettere si sostituiscano le e-mail, con conseguente mutamento del codice linguistico e del suo registro.
Di questo non si può non tenere conto leggendo il romanzo di Carla Deplano Il vuoto, ebook edito da Logus, la quale attua una riuscita operazione mimetica nell'assumere la prospettiva della protagonista Cecilia, intenta a conoscere se stessa, il mondo e l'esistenza, che si manifesta spesso attraverso nemesi funeree e patologiche ("Due anni fa, appena iniziato quest'ultimo ciclo di Perfezionamento, sono state diagnosticate le prime micrometastasi a mio padre, affetto da un carcinoma da quattro anni. Il Corso è praticamente terminato e così la vita di mio padre, che in questi giorni sta vedendo svanire anche le proprie facoltà cognitive a causa dell'espansione metastatica a livello cerebrale"), attraverso un non comune approccio critico al fenomeno. Karma o Maya trionfano. Atma si nega, si consocia in un itinerario incerto col vuoto.
Una scrittura dell'angoscia, quella della Deplano, che non si abbandona all'abusato topos della catarsi letteraria, ma va oltre:
Questo è il testamento interiore di una persona che ha una porzione di cuore atrofizzata per una perdita lacerante ed un’altra squarciata da una lama impietosa che affonda sempre di più nei tessuti. Mi sembra di impazzire e mi ritrovo assolutamente impotente in una condizione che trascende ogni mia volontà. È una situazione paradossale e ridicola, ma la mia mente ne è completamente travolta e non riesco a concentrarmi su qualcosa neanche per pochi minuti. Non posso più leggere, scrivere, ascoltare un discorso, una canzone o vedere un film senza che la mia mente venga investita dal tuo pensiero. Non pensavo che potesse succedermi una cosa simile. Questo stato confusionale devastante mi atterrisce. È la cosa più umiliante che mi sia capitata nella vita. La mia dignità è finita nel momento in cui ho iniziato a scrivertelo.
Un testamento interiore che diviene correlativo oggettivo della crisi di senso della civiltà occidentale, anche attraverso una variazione stilistica che non tralascia il grottesco quale simulacro dell'assurdo.
Cecilia scrive al vuoto che disarma, al Nulla che sovrasta, nella titanica e polimorfica perversione dell'indagatore del senso. Non è il significato ad interessare Cecilia, ma il senso e la frantumazione dell'Io che genera il cortocircuito metalinguistico che proprio nella condizione fatica adombra le sue inquietudini listate di horror vacui.
E il mittente delle missive di Cecilia? Anch'egli, imago mundi, non sempre in grado di cogliere quanto la scrittura dell'Io narrante, in fondo, non cerchi lo scontro, ma abbia un taglio conoscitivo. Da qui la gustosa metafora sportiva relativa all'incomunicabilità con l'altro:
Priva di spirito agonistico gioco per puro piacere e da discreta tennista quale sono ho un concetto diverso del termine match che tu impieghi con riferimento pugilistico (con allusioni al “mettere a terra” e “con tutti i rischi e le perplessità e gli ostacoli o le rotture che potrebbero derivarne”): nel linguaggio tennistico se set significa partita, match significa esattamente incontro (piuttosto che scontro). Può sembrare pedante, ma questa sottile differenza comporta il fatto che quando lanci una, due, tre e infinite palle ti aspetti di solito delle risposte … e non delle rotture!
O ancora, ironicamente:
Vada per domani, ti aspetto con la racchetta di legno di Borg: porta i guantoni per un match all'ultimo livido!!
La relazione con il TU è travaglio, battaglia, livido. Dolore.
Un altro tema centrale del romanzo è, dunque, la solitudine interiore che si esperisce proprio nell'atto di volerla attenuare, se non vincere.
Varietà di toni.
Non mancano frecciate sarcastiche al mondo del lavoro e pennellate umoristiche di indubbio pregio (e caustiche):
Bel concerto quello di ieri nell’Aula Magna, con coro diretto magistralmente col solo braccio destro dal maestro di cappella emiparetico. Non altrettanto dicasi per la performance contemporanea del Teatro Lirico terribilmente cacofonica del giovane maestro Binelli, figlio della famosa Binelli Comella che presiedeva nella Facoltà di Legge l’esame che notoriamente impediva agli studenti somari la partenza per il servizio militare (tipo diritto delle assicurazioni aut similia). A proposito, la sai l’ultima? L’addetto stampa del Teatro Comunale mi ha appena comunicato una notizia entusiasmante: Marco Carta sarà la voce narrante di Pierino e il lupo in aprile a Cagliari! Roba da prenotare immediatamente il volo … A quando la Traviata cantata da Valerio Scanu ?! A pensarci bene, dopo Sean Connery, Dario Fo, Eduardo de Filippo e Benigni, Carta mi sembra appunto un degno successore, con un fascino e una cadenza tutti suoi... d'altra parte lui sta a Prokof'ev quanto Mika al teatro di legno improvvisato per l’occasione (con le gradinate che per poco non venivano giù, tali erano le vibrazioni prodotte dal pubblico danzante e dai decibel in eccesso...).
La Traviata cantata Valerio Scanu: correlativo oggettivo del trionfo del nihil santificato dalla Televisione.
A voler applicare le categorie della critica marxista per il romanzo della Deplano si potrebbero rinvenire interessanti e disarmanti dati diagnostici sull'immaginario prodotto dallo sfascio della società capitalistica occidentale.
E si ritornerebbe, in un processo circolare, al titolo del romanzo: il vuoto.

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