venerdì 26 settembre 2014

Il certo e l'incerto: estratto gratuito

Clara Spada 



Il certo e l'incerto

* * *
Edizioni
Logus mondi interattivi



Il Certo e l'incerto
di Clara Spada
EdizioneLogus mondi interattiviwww.logus.it© 2013
ISBN: 9788898062447
Direttore editoriale
Pier Luigi Lai
pllai@logus.it
In copertina:“SUDDENLY A TREE”scultura 32 x 21 x 7 – anno 2012 – tecnica: mista su legnoSIMONE DULCIS pittore
Per gentile concessione dell’artistaSimone Dulcis su Facebook

> 1 <

Stefano si svegliò di soprassalto, con il cuore che gli batteva all’impazzata, come sovente succede dopo un brutto sogno o per uno stato interiore di angoscia che fa star male fino a perdere il respiro.
Intorno a lui la notte. L’oscurità non gli consentiva di orientarsi né di capire dove si trovasse: quel buio cupo e denso come nebbia lo avviluppava nascondendogli i confini.
Il suo disagio durò soltanto un attimo, giusto il tempo del brusco risveglio, e non appena riprese il controllo di sé gli parve che il buio attorno a lui diventasse sempre meno ostile. Anzi, rendeva l’ambiente soffice e ovattato, come un luogo speciale ed esclusivo. Un grande bozzolo.
Questa sensazione gli consentì di inspirare ed espirare lentamente e profondamente così da rilassarsi stendendo ad uno ad uno tutti i muscoli del corpo. Poi incominciò a ripercorrere mentalmente gli avvenimenti che lo avevano portato a trascorrere la notte in quella stanza sconosciuta, di cui, in verità, ben poco gl’importava saperne di più.
Gl’importava molto, invece, analizzare ciò che di insolito gli era successo, non il dove, e solo un poco il come.
Si sentì scuotere da un’ondata improvvisa di sentimenti forti e si commosse. Mai prima aveva pianto di gioia.
Si era sempre considerato un uomo alieno da sentimentalismi, padrone delle sue emozioni. Quando era di buon umore, scherzava con gli amici affermando di avere ereditato il carattere anglosassone di un antenato.
Ora, in territorio sconosciuto, capì la fragilità emotiva del suo io più segreto e non si stupì per la naturalezza con cui si sentiva disposto ad accogliere quelle nuove sensazioni, che non aveva mai avvertito, che neppure immaginava esistessero, che in piena convinzione aveva ritenuto di non potere mai provare.
Intanto la tensione, causatagli dal brusco risveglio, si era dissolta. Si sentiva completamente, piacevolmente rilassato.
Con il corpo steso supino, affondato quasi nel materasso, tra le lenzuola sfatte, le braccia incrociate dietro la nuca, si abbandonò al ricordo del piacere inaspettato della notte non ancora conclusa e di quegli accadimenti fuori programma che l’avevano preceduta.

Già, ieri. Doveva fare i conti con ieri. Quanto era lontano ieri, eppure così presente.
Sorrise. Non solo con le labbra, come si era condizionato a fare nel corso degli anni, ma con la profonda partecipazione di tutta la sua persona.
Felice. Non ne comprendeva il motivo ma raramente, forse mai in precedenza, si era sentito tanto autenticamente felice. E appagato, completo, leggero.
Il buio, quel buio fondo che precede il giorno e che lotta contro l’avanzare della luce dissacrante, pronta a dare consistenza alle cose e ai fatti, adesso gli era amico, lo ammantava interamente e lo trasportava in un’altra dimensione.
Ricordò vagamente di aver letto che in quel particolare momento fra notte e giorno cadono tutte le maschere che le convenienze e i rapporti sociali impongono e così l’uomo si trova nudo, totalmente scoperto, di fronte alla verità.
Non voleva ancora pensare a ieri, troppo presto per farlo, gli avrebbe creato dei problemi che per il momento non gli piaceva affrontare.
Finché c’era il buio a fargli da complice schermo intendeva godersi appieno le sue emozioni. Niente e nessuno aveva il diritto d’intromettersi, di guastargli la festa.
Ciò che stava provando era il piacere puro, l’essenza stessa del piacere, che non si può condividere né raccontare.
Lo stato di assoluto benessere gli procurò uno strano dormiveglia. Era convinto di essere sveglio e invece si era di nuovo addormentato. Come un bambino stanco per avere tanto giocato dormiva un sonno ristoratore, privo di sogni e di incubi.
Una parvenza di luce incominciava intanto a farsi largo nella stanza delineando sagome scure di mobili e cose, fino alle indistinte pareti.
Con gli occhi semichiusi Stefano incominciò a scrutare l’ambiente con curiosità. La luce lo aveva svegliato.
La stanza era vasta, molto vasta, ne aveva la sensazione, così gli pareva, sentiva tanto spazio attorno a sé.
Il letto, doveva essere molto grande il letto, aveva di fronte una portafinestra chiusa da persiane. La luce proveniva da quella parte, dalle fessure un po’ larghe.
Le tende non erano state accostate. Scendevano ai lati della portafinestra, due strisce compatte, due anonime sentinelle.
Doveva esserci una terrazza oltre la porta. O un giardino. Canti di uccelli annunciavano il giorno rompendo il silenzio. Un sibilo insistente, fastidioso, vi si sovrappose. L’odore di terra bagnata, di fiori e d’erba gli fece capire che si era messo in azione l’impianto automatico d’innaffiamento.

Un risveglio ideale, carico di un certo erotismo, da assaporare lentamente, tanto non aveva fretta, non doveva alzarsi di scatto come ogni mattina e affannarsi con doccia rasoio cravatta colazione, in lotta coi minuti. Da troppi anni non gli capitava di iniziare così piacevolmente una nuova giornata.
Eppure non lo voleva questo giorno. Se fosse stato in suo potere avrebbe cristallizzato il tempo nella notte precedente. Avrebbe voluto enucleare quella notte per riporla tutta intera in uno spazio particolare del suo cervello, come un oggetto prezioso, da collezionista, di quelli che si tirano fuori quasi furtivamente e si ammirano in solitudine, di tanto in tanto, quando se ne ha la predisposizione. O la nostalgia.
Ormai il chiarore gli consentiva di vedere le cose: i vestiti sparpagliati per terra e sulla poltrona, il pesante cassettone ottocentesco alla sua destra, i quadri alle pareti, una porta socchiusa a sinistra.
La luce non era ancora tale da permettergli di distinguere colori e particolari. Ogni oggetto pareva privo di sue peculiarità, apparteneva alla gamma dei grigi come tutti gli altri, persi e confusi nello spazio che lo circondava.
Avvertì accanto a sé un respiro regolare, caratteristico di chi dorme profondamente, e si voltò di fianco a guardare. Ma il chiarore non era sufficiente: ombra tra le ombre un corpo che, presumibilmente, gli dava le spalle. Un piede, di un grigio più chiaro, sbucava dalle lenzuola avvoltolate attorno alle gambe.
Stefano sorrise di nuovo, questa volta con profonda tenerezza, e si abbandonò completamente a sé stesso lasciandosi cullare dal ritmo dei vaghi rumori della vita che incominciava a pulsare al di fuori. Stava tanto bene che si riaddormentò.
Si svegliò che era giorno. Lame di sole tagliavano a fette la stanza, ormai ricca di colori.
Nuovamente avvertì al suo fianco quel respiro regolare e profondo e ne fu contento. Non gradiva intrusioni, voleva ancora tempo per esplorare l’ambiente attorno a lui, con tutta calma, per frenare l’impulso impellente di toccare il corpo addormentato al suo fianco.
Una bella camera da letto, non c’era dubbio. Molto elegante e raffinata nella sua essenziale sobrietà. Stefano ci si sentiva a suo agio. Non ci aveva fatto caso, la sera prima. Quando vi erano arrivati era tardi e avevano entrambi fretta d’amore. D’amore e di sesso. Se ne avvertiva ancora l’odore.
La camera era vasta, proprio vasta, la sua impressione iniziale si rivelò giusta. Benissimo, stava recuperando le sue facoltà. Notò le pareti laccate colore avorio antico e, in alto, gli stucchi, candide ghirlande di fiori e frutti intrecciati.
Anche l’armadio a muro accanto alla porta di sinistra era laccato, degli stessi colori delle pareti mentre le cornici in rilievo delle ante e degli sportelli erano dipinte di bianco ed evidenziate da una righino verde. Uno sportello in alto si era aperto un poco, gli parve di individuare alcuni capi di vestiario appesi, probabilmente delle giacche, forse di maglia.
Trovò di suo gusto il colore verde salvia delle tende ai lati della portafinestra. Della stessa tonalità era il tessuto (gli parve un filaticcio) delle poltrone e del copriletto rifiniti con un cordoncino in tinta. Proprio una sfumatura di colore adatta all’ambiente, molto riposante.
Il cassettone scuro, davvero un bel pezzo d’antiquariato, risaltava imponente senza essere pesante. Era completato da un grande specchio con la cornice di legno abilmente intagliata: non era dunque un quadro, come prima, al buio, aveva immaginato. Vari oggetti erano sparsi disordinatamente sul ripiano. Di lato, uno stupendo flambeau veneziano di vetro soffiato a cinque bracci da cui dondolavano fruttini colorati.
Il letto king-size, basso, non aveva sponde, la testiera imbottita tenuta sospesa alla parete da piccole staffe d’ottone era sovrastata da un grande quadro affollato di soldati napoleonici impegnati ad ammazzare nemici. Ai lati del letto due tavolinetti a doppio ripiano con due lumi gemelli, di ottone; per terra dei kilim pregevoli coprivano in parte il lucido parquet color di miele.
Nella parete sopra il suo tavolino una serie di piccoli dipinti di varie misure, disposti con maestria, formavano un unico puzzle. Stefano si voltò sul fianco destro per osservarli meglio: un’interessante raccolta di “firme”, importanti artisti italiani a cavallo fra l’otto e il novecento.
Se gli avessero proposto di sceglierne uno, quale avrebbe preferito? Probabilmente nessuno, stavano bene così, tutti assieme, memoria visiva dell’amicizia che aveva legato i loro autori.
Ma se proprio avessero insistito... forse quella figura di donna seduta, coperta con la sola camicia che lasciava libere braccia e spalle. Aveva un aspetto possente e il grembo largo e invitante, pareva scolpita nel granito eppure non c’era durezza in lei, anzi i suoi larghi fianchi gli trasmettevano una calda sensazione di protezione materna.
Era l’unico disegno vagamente colorato, di grigio plumbeo con vaghe sfumature rosate. Il viso della donna era privo di lineamenti, una macchia grigiastra coi capelli scuri e incolti, dritti lungo le guance, fino a confondersi con le spalle. Eppure non era un viso anonimo, soltanto dopo una osservazione più attenta Stefano si accorse che non c’erano occhi né bocca né naso. Notò il mento, vagamente accennato sul collo forte. Anche la figura aveva contorni indefiniti, come una statua appena sbozzata in un masso informe, da cui però già balzava fuori, libera della materia che l’aveva tenuta prigioniera, resa viva dal tocco dell’artista. Perché mai aveva quell’aria pensosa e vagamente triste? No, a ben guardarla non era triste ma seria, e maestosamente autoritaria.
Gli piaceva davvero, quel quadretto, e sarebbe piaciuto molto anche ad Eleonora.

Stefano si alzò piano dal letto, attraversò velocemente tutta la stanza senza far rumore e oltrepassò la porta semichiusa riaccostandola poi con attenzione.
Si trovò in un piccolo spogliatoio completamente vuoto, con armadi a muro alti fino al soffitto bianco, anch’essi laccati d’avorio coi bordi bicolori in rilievo.
Tra le ante, una di fronte all’altra, s’indovinavano due porte a specchi. Aprì quella alla sua destra e si trovò dentro una stanza da bagno piena di sole, luminosa al punto che dovette socchiudere gli occhi per adattarsi gradualmente all’impudenza di tanta luce.
Il sole invadeva l’intero ambiente attraverso una parete a vetri, disposta a oriente, che dava sulla terrazza. O sul giardino? Forse era proprio un giardino, vista la quantità di piante che incorniciavano la vetrata, gelsomini rampicanti ai lati e più oltre cespugli squadrati di lauro, salvia e rosmarino, e più avanti alberelli ben curati di limoni, una distensiva gamma di verdi interrotta solo da qualche limone giallo e dal candore dei gelsomini.
Se invece era una terrazza doveva essere davvero molto vasta, sicuramente protesa verso il lago. Quando, a notte fonda, dopo la corsa in auto, erano giunti alla casa sul lago, Stefano non si era reso conto che fosse una villa isolata, bassa verso la strada stretta e tortuosa a mezza collina, con la terrazza quasi a strapiombo sull’acqua.
Da lontano giungevano echi: il vociare della gente, il fischio di un vaporetto, il rombo soffocato di un motore. L’isolamento che Stefano si era sentito attorno, come il bozzolo che aveva immaginato, così gli era sembrato, cominciava a svanire.
Cercò di non pensarci e si guardò attorno. Anche in bagno un arredamento di classe, lussuoso ma non sfacciato, proprio come piaceva a lui. I colori erano gli stessi della camera da letto. Sfiorò con la mano uno degli asciugamani di spugna, soffice e invitante, lo accarezzò contro verso e il verde salvia acquistò sfumature d’argento.
Eleonora vi avrebbe aggiunto tocchi di altro colore, magari qualche asciugamano fucsia. Le piacciono i contrasti, sempre, pensò Stefano.
Si avvicinò allo specchio. Aveva i capelli arruffati, la barba di un giorno gli scuriva le guance accentuandone il colorito olivastro, gli occhi con le palpebre ancora pesanti di sonno, le sopracciglia dritte e scure, la bocca morbida.
L’abbronzatura non era del tutto sbiadita dal suo corpo che non dimostrava i suoi quarantacinque anni e si manteneva asciutto e scattante, le spalle dritte, i fianchi stretti, braccia e gambe da longilineo ricoperte di peli scuri. A Eleonora non piacevano gli uomini glabri e palestrati.
Si accarezzò lo stomaco e la pancia, si osservò criticamente da un lato e poi dall’altro constatando compiaciuto la tonicità dei muscoli addominali e si sentì soddisfatto del suo aspetto. Si stiracchiò più volte, gli piaceva, era l’unica ginnastica che, oltre il nuoto, veramente amava fare. Tennis, golf, jogging, palestra, praticati dagli amici del suo gruppo, tanto per seguire la moda, lo annoiavano a morte.
Adocchiò la Jacuzzi ad angolo, e subito aprì il rubinetto, bloccò il miscelatore sulla media temperatura, versò una manciata di sali da bagno dal profumo resinoso e rinvigorente e, seduto sul bordo, aspettò che la vasca si riempisse giocando distrattamente con le bollicine che a poco a poco, uscendo dai getti, agitavano la superficie dell’acqua.
Si immerse lentamente: gli piaceva sentire il calore impadronirsi gradatamente del suo corpo. Si stese mentre le bollicine gli si muovevano attorno e i getti ben indirizzati lo massaggiavano tutto creandogli quasi uno stato di eccitazione sensuale. In quel momento gli pareva di non poter desiderare niente di meglio e di più. Così serenamente rilassato lasciò che la sua mente riandasse alla figura addormentata nel letto accanto a lui, ne percorse idealmente con un dito la sagoma, delicatamente, come una carezza, dal piede sfuggito al lenzuolo su per la caviglia sottile e lungo il polpaccio, indugiando per un attimo all’altezza della vita snella fino alla schiena dorata, resa vellutata da una impercettibile peluria bionda.
Visualizzare quella schiena lo eccitò maggiormente tanto che avrebbe voluto correre in camera per appoggiarvi contro le mani aperte e poi morderla, come si addenta con gusto un frutto succoso appena staccato dall’albero.
Resistette all’impulso. Era preferibile che, per il momento, l’oggetto del suo desiderio continuasse a dormire. Però proseguì nella sua immaginaria esplorazione intenerendosi all’idea del collo lungo reclinato in avanti, inerme, la nuca protesa verso di lui, le ciocche striate di chiaro che la guarnivano, il sudore e gli umori dei quali avvertiva ancora il sapore.
Il viso no, lo aveva cancellato, come quello della donna del ritratto.
Era bello abbandonarsi all’idea del piacere, con gli occhi semichiusi e il corpo ondeggiante nell’acqua.
L’ansia lo attanagliò improvvisamente, e provò la stessa ingiustificata angoscia di quando prima dell’alba si era svegliato di soprassalto.
Eleonora. Come aveva potuto dimenticare Eleonora.
... continua ...
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Clara Spada
Il Certo e l'incerto
Logus mondi interattivi
2013
f.to ebook (ePUB)
ISBN:
9788898062447
pag. —
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